
25 anni di sacerdozio… e non sentirli! «Aver incontrato Gesù è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita», afferma con un pizzico di emozione don Mariano Salpinone in occasione del venticinquesimo anniversario dal suo sacerdozio.
Hai festeggiato il tuo 25° anniversario di sacerdozio. Come lo hai vissuto?
È certamente il dono più bello che Dio possa fare a un uomo e la vita più bella che un uomo possa avere. Dopo 25 anni ci si rende conto di questo ogni giorno di più, soprattutto guardando in retrospettiva la propria vita. Tutto ciò che è successo. Un sacerdote si rende conto che Dio non solamente chiama al Suo servizio, ma continua a guidarlo, come una Provvidenza del tutto particolare. Questo l’ho sentito da subito e lo sento sempre di più.
Cosa ti piace ricordare del tempo del seminario e della tua ordinazione?
Del mio seminario ricordo in particolare l’amore per la liturgia, la gioia di preparare le feste, le grandi celebrazioni, gli studi interessantissimi. Il contatto con i compagni, molti dei quali sono diventati confratelli, tutti amici. È nel seminario che un futuro sacerdote impara poco a poco a conoscere gli altri e soprattutto a conoscersi grazie agli altri, accettandosi così come siamo, e a volerci bene nello sguardo di Gesù che ci unisce. È attraverso questa scuola che il sacerdote, il futuro sacerdote si prepara ad avere lo stesso atteggiamento verso le anime che un giorno gli saranno affidate. Per quanto riguarda la mia ordinazione, devo dire che il ricordo più vivo l’ho della mia prima messa, il giorno dopo l’ordinazione. Ricordo benissimo nel momento della consacrazione, quando mi inchinai sopra l’altare per pronunciare quelle parole per la prima volta. Ricordo che tremavo e quasi mi vergognavo a tenere le mani alzate. Ricordo, non solamente il sentimento di indegnità, ma l’impressione, la sensazione e la certezza di non essere degno di pronunciare quelle parole. Ricordo benissimo di averle pronunciate col il cuore in gola. Con una punta anche di paura, di timore, verso Dio. Poi ovviamente, la gioia di aver celebrato la mia Prima Messa, ha fatto dimenticare quasi completamente quella paura.
Perché è bello essere preti?
Essere preti non è un impiego burocratico, ma il frutto di un dono che viene da Dio e rende la persona capace di agire come segno efficace di Cristo, Capo del Suo Corpo che è la Chiesa, al servizio del Vangelo, della riconciliazione e della carità fraterna. È la missione che potrà rendere felici non solo quanti ad essa sono chiamati, ma anche tutti coloro al cui servizio spenderanno la loro vita seguendo con fedeltà e amore
Quando hai sentito, dentro di sé, la crescita della tua fede e della vocazione?
La mia fede l’ho “respirata” sin da quando ero piccolo, grazie alla mia famiglia. I miei genitori, così come i miei nonni, tenevano molto a farmi partecipare alla santa messa, al catechismo, a farmi ricevere i sacramenti. Mi hanno trasmesso profondamente la loro fede, soprattutto con il canto, me l’hanno testimoniata, attraverso la loro vita cristiana, al servizio della comunità parrocchiale. Per questo ho riportato nel libretto ricordo dei miei 25 anni un sonetto che papà mi dedicò, in maniera assai profetica.
Più crescevo, e più cresceva in me la volontà di essere sempre più partecipe alle esperienze che mi avvicinassero alla vita parrocchiale: l’oratorio, i campi scuola, e tant’altro. Ho sempre conosciuto sacerdoti molto validi, che mi hanno indotto a percepire la bellezza della loro vita, l’entusiasmo della loro scelta, nonostante le inevitabili difficoltà: tutto questo mi attraeva molto, soprattutto la loro cordiale disponibilità nei miei confronti. La mia ispirazione diveniva sempre più forte, così come la mia voglia di “mettermi in gioco” e di non “far finire il campo scuola nella mia vita”.
Quale la missione del prete in una società complessa come la nostra?
In una società, che è divenuta spesso una “folla di solitudini”, dominata dall’incomunicabilità e dall’estraneità degli altri, avere la possibilità di mettere insieme tanti, come abbiamo vissuto nella serata di festa dopo la Messa presieduta dall’Arcivescovo è un segno forte profetico di speranza. Con l’AC, gli Scout, i neocatecumenali, gli animatori e tante famiglie continuiamo a servire la crescita della nostra realtà cercando di vivere insieme il vangelo che ci riconcilia in noi e tra di noi: questo penso serva tanto al nostro mondo.
Tu sei molto attivo sui social network, veicoli messaggi per nulla banali. Quali sono i riscontri da parte di chi ti segue?
I riscontri sono molto positivi. Molti mi dicono che, dopo una vita di fede piatta e superficiale, sono riusciti a provare il desiderio di ‘prendere in mano’ la propria vita, ed addirittura la spinta per venirsi a confessare. Altre persone provano fastidio oppure mi giudicano ridicolo: lo comprendo. Io dico spesso cose non piacevoli da ascoltare: quando vogliamo bene, quando dimostriamo un affetto sincero verso qualcuno, non diciamo mai una bugia, ma esortiamo a cambiare strada, quando quella percorsa è errata, e lo facciamo tramite la verità.
Cosa diresti a un giovane che potrebbe pensare al sacerdozio?
Gli direi di non avere paura, e di non smettere di considerarne la possibilità. Dare la vita per i fratelli, per amore del Signore è un’avventura straordinariamente bella, affascinante. Spenderla totalmente, radicalmente per seguire il Signore e per amore di tutti, senza sconti, senza tenere nulla per sé, è la cosa più grande che possa capitare ad un uomo. E che è capitata a me. Non smetterò mai di ringraziare la Chiesa per avermi accolto, accompagnato con veramente tanta pazienza e per avermi dato la possibilità di avere un posto così bello in questo mondo in cui poter condividere la gioia dell’incontro con Gesù e poterlo dilatare fino ai confini della terra, come ho fatto con il regalo raccolta per l’Oratorio di Betlemme.
Alessandro Lanfranchi,
Presidente parrocchiale Azione Cattolica