
Don Gianluigi, qual è stato il momento in cui hai capito che Dio ti stava chiamando al sacerdozio e come questa consapevolezza si è consolidata negli anni di formazione?
Mi ha sempre accompagnato nella vita il cogliere le domande: mi hanno spinto avanti, aperto orizzonti e mostrato squarci di cielo. Alcune risalgono al tempo della scuola superiore, altre si sono aggiunte nel tempo; alcune hanno già trovato risposta, altre le sto ancora scoprendo. Per comprenderle occorre ascoltare la storia, le persone e noi stessi, senza temere il silenzio né accontentarsi di risposte preconfezionate. Il Signore orienta attraverso i compagni di viaggio – genitori, catechisti, educatori, sacerdoti – che condividono la loro fede con noi. Senza di loro si rischia di camminare da soli. Quando le cose di Dio mi divennero familiari e la sua Parola cominciò a bruciarmi dentro, chiesi al Signore come potevo amare di più e servire meglio la sua Chiesa. La risposta arrivò durante la celebrazione di una Messa: il sacerdote invitò a deporre sull’altare la propria vita, insieme al pane e al vino, per scoprire la vocazione di ciascuno. Lo feci, con semplicità, e dentro di me nacque la certezza che il Signore mi chiamava a servirlo nei fratelli attraverso il dono del sacerdozio.
C’è un passo del Vangelo che ti ha sostenuto in modo speciale durante gli anni di formazione e che porterai nel tuo ministero presbiterale?
Negli anni di formazione, diversi passi della Scrittura hanno accompagnato e sostenuto il mio cammino. Vorrei portarli sempre con me nel ministero come vere e proprie “colonne portanti”: la vite e i tralci (Gv 15,1-11) e l’insegnamento sul non giudicare, sulla porta stretta e la casa sulla roccia (Mt 7,1-11.24-27).
In che modo immagini di vivere il sacerdozio, soprattutto nei momenti in cui sarai chiamato a stare vicino alle persone più fragili o lontane dalla Chiesa?
«Di particolare importanza per il presbitero – scriveva Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis – è la capacità di relazione con gli altri, elemento essenziale per chi è chiamato a guidare una comunità ed essere “uomo di comunione”» (n. 43). Il sacerdote, infatti, incontra ogni giorno persone diverse: giovani, anziani, malati, poveri, fedeli vicini e altri più distanti. Con ciascuno è chiamato a costruire un rapporto autentico, fatto di accoglienza e prossimità. Vivere relazioni così non è semplice: richiede maturità umana e spirituale, la capacità di non mettere se stessi al centro e la disponibilità a donarsi in modo continuo. Non è facile, ma con l’aiuto di Dio diventa possibile.
Guardando alla Chiesa di oggi e alle sue sfide, quale contributo personale desideri offrire come sacerdote per annunciare il Vangelo in modo autentico e vicino alle persone?
L’annuncio del Vangelo, oggi, passa innanzitutto attraverso l’ascolto sincero delle persone e delle loro storie, più che attraverso discorsi preparati. Ciò che rende credibile la parola di un presbitero è la testimonianza della sua vita: vicinanza, semplicità, coerenza. Non dall’alto, ma accanto; non come un estraneo, ma come fratello tra fratelli, presente nelle gioie e nelle fatiche di ogni giorno. Tutto questo è possibile solo se l’annuncio sgorga dalla preghiera e da una relazione viva con Cristo: senza questa sorgente interiore, anche la parola più bella rischia di perdere autenticità.
C’è un messaggio che vorresti indirizzare alla comunità diocesana e soprattutto a quei giovani che si interrogano sulla loro vocazione?
Ai giovani che si interrogano sulla propria vocazione direi anzitutto: non smettete di sognare. I sogni autentici, quelli che nascono in profondità, non sono illusioni: sono segni che lo Spirito semina nel cuore per indicarvi la strada. Vorrei incoraggiarvi riprendendo uno slogan forse un po’ datato, ma ancora attuale e carico di speranza: «Progetta con Dio… abita il futuro». Non abbiate paura di immaginare e costruire il domani insieme a Lui. Con Cristo, i sogni diventano progetti e il futuro si trasforma in una casa accogliente da abitare. La vocazione non è un peso da portare, ma un dono che prende forma quando ci si fida di Dio e si ha il coraggio di mettersi in cammino.
Davide Leone,
seminarista