Ordinazione presbiterale di don Gianluigi Velletri

    Fondi • Chiesa di Santa Maria in Piazza • 11 ottobre 2025

    Gianluigi carissimo, questa sera è per noi una sera particolarmente bella, una sera di fiducia e di incoraggiamento. Una sera per ringraziare e per lodare perché nella tormenta di violenza, di guerre, di delusioni e di fallimento c’è qualcuno che dice: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8).

    Conosco un luogo sulle Alpi in cui è costruito un santuario, si chiama il santuario di sant’Anna ed è costruito fra Italia e Francia su una via che si chiamava la “via del sale” perché consentiva il trasporto di questo bene prezioso dal mare verso i centri del Piemonte. Quel santuario ha un piccolo campanile con una campana che serviva a orientare i viaggiatori e i viaggiatori quando di notte o a causa della tormenta rischiavano di perdersi. Incessantemente veniva suonata e salvava le loro vite. Nel tuo “sì” di questa sera c’è l’eco di quel suono che orienta, che rincuora e che fa molto di più di quello che una campana e un campanaro potrebbero immaginare di fare: salva.

    La Parola che accompagna questa solenne liturgia di ordinazione dice essenzialmente questo: la fede salva e guarisce e che l’essere guariti è la testimonianza più chiara che possiamo dare al vangelo. Siamo come Naaman il siro che deve convincersi di non avere da sé i mezzi per guarire, né il suo potere, né i suoi grandi fiumi, lo guariranno ma fidarsi del profeta di Dio, cioè della Parola, credere e immergersi nel Giordano lo guarirà, in quel piccolo fiume (cfr. 2Re 5,14-17). È il segno del Battesimo anche tu come noi siamo stati immersi nell’acqua e siamo rinati come nuove creature. Rinati, liberi e guariti significa poter fare quello che un lebbroso non poteva fare e cioè abitare nella città, avere relazioni con le persone e, potendo finalmente entrare nel tempio, con Dio, cioè poter stare nella comunità dei credenti.

    La lebbra è tutto quanto ci isola, ci fa immaginare di bastare a noi stessi, ci fa agire senza tener conto degli altri. C’è tanta lebbra, oggi, che si manifesta con l’indicibile violenza delle guerre e delle aggressioni, ma anche nelle relazioni malate di indifferenza che intrecciamo fra noi. Se mi domando se ci penso a quello che le mie scelte e le mie parole possono provocare negli altri, più ci penso e più sono sano, meno ci penso e più sono malato.

    Un sacerdote, caro Gianluigi, deve essere una persona sana, non perfetta, non impeccabile, ma sana, cioè capace di tener conto degli altri, soprattutto dei più deboli, di quelli che il Vangelo chiama i bambini che capiscono le cose per come sono e non tutte quelle mediazioni per essere capaci di manipolare gli altri e la realtà. Ogni parola significa una cosa sola: l’egoismo è egoismo, la superbia è superbia, l’indifferenza è indifferenza così come l’altruismo, l’umiltà e l’attenzione sono quello che significano. Queste cose un bambino le sa. È forse per questo che la guarigione di Naaman è descritta dicendo che la sua carne era tornata a essere come quella di un ragazzino.

    La pagina del Vangelo (Lc 17,11-19) ci fa comprendere ancora meglio tutto questo quando Gesù dopo aver ascoltato la preghiera dei dieci lebbrosi: Gesù maestro, abbi pietà di noi! Li invita ad andare a farsi certificare la guarigione; dei dieci solo uno torna indietro a dire grazie, lodando Dio a gran voce e prostrandosi ai piedi di Gesù.

    La domanda di Gesù: gli altri nove dove sono? Non penso che sia solo una constatazione della ingratitudine, ma è qualcosa di più. Quei nove che, appena ottenuto il certificato di guarigione, si dimenticano della fonte della loro ritrovata salute è come se non fossero guariti, non sono tornati come ragazzini che corrono a ringraziare, tanto che solo all’unico tornato indietro Gesù dirà le parole della guarigione: Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato. Solo lui è guarito.

    Riecheggia nella domanda di Gesù: gli altri dove sono, la stessa domanda di Dio nel giardino dell’Eden ad Adamo (Gen 3,9): uomo, dove sei? Gesù lo sa bene dove sono andati quei nove, a riorganizzarsi la vita come se non lo avessero nemmeno mai incontrato, ma la domanda suona come la speranza che quelli si rendano conto della loro condotta, della loro mancanza di responsabilità, della loro mancanza di consapevolezza e decidano di guarire veramente, rimettendosi in cammino. Non guariranno mai nascondendosi da Gesù che li guarisce, ma sempre e solo tornando a Lui. È straordinario come Gesù con questa domanda dica che non rinuncia a nessuno e che non abbandona nessuno al suo destino.

    Ogni sera, Gianluigi, sentiti rivolgere questa domanda: dove sei nel tuo mondo di uomo, nel tuo mondo di credente e nel tuo mondo di sacerdote? Dio sa sempre dove siamo e rimane fedele, vicino, proprio nella situazione nella quale ci nascondiamo. Ce lo chiede perché noi ci rimettiamo in cammino, ricominciamo. La condizione è che questa domanda ci colpisca il cuore e che noi desideriamo che lo faccia. La domanda che Dio ci fa è per confermarci nel bene, per farci uscire dai nostri errori.

    Gianluigi, il tuo sacerdozio è un dono di Dio e Lui ci tiene tantissimo come alla vita di ogni uomo e di ogni donna e di ogni creatura, Lui non ti perderà mai e tu non perderlo. Sii sincero, sii responsabile, sii serio, fatti sempre trovare da Lui e anche, mi raccomando, dai tuoi fratelli.  Trovino sempre un uomo, un cristiano, un sacerdote. Ma anche sii come Gesù e credi sempre che le persone possono ritrovarsi e non ti stancare di chiedere dove sono.

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