
Don Carlo Lembo ha festeggiato il 29 giugno i suoi 25 anni di sacerdozio. In questa intervista racconta il suo cammino di fede e di servizio alla Chiesa.
Don Carlo, ripensando al giorno della tua ordinazione sacerdotale, quali sono i ricordi che ti affiorano alla memoria? Che aspettative portavi nel cuore?
Ricordo ancora con grande emozione quel martedì 29 giugno del 1999: il mio cuore era un misto di trepidazione, paura, gioia ed entusiasmo. Ricordo l’incertezza legata al meteo: quel giorno minacciava pioggia e l’ordinazione era all’aperto. Però ho memoria di una serata bellissima, con un tramonto spettacolare che donò una sfumatura di colori pastello alla celebrazione dell’ordinazione presieduta dall’arcivescovo Mazzoni.
Molti i timori e le aspettative che portavo nel cuore: il desiderio di essere un sacerdote secondo il cuore di Dio e il timore per i miei limiti e le mie fragilità; il sogno di poter servire la Chiesa e la paura di non riuscire ad essere pienamente testimone dell’amore misericordioso di Dio.
Sono state tante le esperienze che hanno segnato questi 25 anni di cammino ministeriale. Quali sono state le più significative?
Tra le tante esperienze vissute in questi anni vorrei segnalarne tre: lo studio della Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e alla Gregoriana, dono di grazia straordinario per il mio sacerdozio; il servizio ministeriale nelle diverse comunità affidatemi prima come vicario parrocchiale (Sant’Albina) e poi come parroco (Santa Maria Infante e San Giuseppe, Madonna del Carmine e Santa Teresa, Santi Lorenzo e Giovanni Battista); il servizio come assistente dell’Azione Cattolica, palestra di vita, di amore per la Chiesa e di sinodalità.
La società del tempo è definita “società liquida”. Tutto è in continua evoluzione, anche l’approccio alla Chiesa e alla fede. Come è cambiato il tuo essere sacerdote in questi anni? Cosa invece è rimasto nel tempo?
Sono cresciuto nella pazienza, sforzandomi di accompagnare le persone secondo i tempi dettati dal Signore e non dal mio desiderio di arrivare a meta. Ho imparato l’arte dell’attendere, propria del contadino, richiamata in diverse occasioni da Gesù nel Vangelo.
Nel tempo è invece rimasto l’entusiasmo dell’essere prete: ogni giorno, rendendo grazie al Signore per la sua chiamata, ho il cuore pieno di gioia per il servizio che svolgo, per le comunità che accompagno e per i doni di grazia che quotidianamente il Signore affida alla mia vita.
Cosa sogni per la Chiesa?
Sogno una Chiesa sinodale e accogliente, capace di essere segno della misericordia e dell’amore di Dio in questo mondo attraversato da conflitti, tensioni, paure e incertezze. Sogno una Chiesa nella quale la corresponsabilità sia la cifra costitutiva del suo essere comunità credente. Sogno una Chiesa che sia capace di custodire la bellezza e di testimoniarla a uomini e donne che troppo spesso sembrano distratti e frettolosi.
Cosa diresti ad un giovane che sta intraprendendo la strada del sacerdozio?
Che essere prete è davvero bello: si tratta di un dono di amore che cresce nell’amore e genera amore in tutte le situazioni ordinarie della vita, rendendole in ogni istante straordinarie. È un dono prezioso che si custodisce in vasi di creta riempiti in maniera sovrabbondante dalla grazia del Signore che opera in noi le sue meraviglie.
Alessandro Scarpellino