Messa del Crisma

    Celebriamo questa Eucarestia della Messa crismale nell’Anno Santo che ci vede impegnati a parlare di speranza. Definirci secondo la speranza significa molte cose, ma certamente anche che la speranza è una terra da raggiungere e non un atteggiamento di vago ottimismo. La speranza poi, come sappiamo, si declina in tante speranze che in questi tempi sono condivise da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, prima fra tutte la speranza della pace che ci vede come “pellegrini di pace”, che cercano di costruire con forza e pazienza, con coraggio e sacrificio questa parola. Beati — ci dice il Vangelo — i “costruttori di pace”. facendoci immaginare persone silenziose e operose che fanno la pace con le mani. Silenziose non perché le parole non servano a raccontare le tragedie e le responsabilità che nascono dalla mancanza di pace, ma perché questo non serve a molto, come vediamo in questi anni in cui abbiamo imparato a neutralizzare parole e immagini fino alla soglia dell’indifferenza. Gli operatori di pace fanno la pace con le mani perché provano a realizzare comunità pacifiche, case pacifiche, relazioni pacifiche. Ognuno di noi può fare questo e ognuno di noi può declinare la speranza e decidere quale sia in questo momento la speranza più forte della sua vita e prendere il coraggio per renderla concreta.

    È la concretezza a fare la differenza. È la capacità di uscire dalle definizioni e dagli schemi e dalle parole scontate che fa la differenza. Chissà quante volte nella sinagoga di Nazareth, dove ci porta come ogni anno la pagina del Vangelo di questa sera (Lc 4,16-21), sarà stato commentato il brano del profeta Isaia che apre questa scena che parla di poveri ai quali è portato il lieto annunzio, di liberazione per i prigionieri, di vista per i ciechi, di libertà per gli oppressi. E quante volte il commentatore di turno avrà commentato l’anno di grazia indicando il riferimento dell’anno che la Legge aveva stabilito nel quale tutti fossero messi in grado di ricominciare perché i loro debiti erano condonati. Quante volte lo avranno commentato e sempre con minore convinzione, fino a questo momento quando Gesù dice che non c’è da rimandare la speranza, che la speranza è da costruire oggi e che Lui si fa protagonista di questa speranza.

    Quelli che ascoltavano, se si fossero ricordati, potevano certo pensare che quelle erano più che parole e se solo si fossero ricordati di essere figli di Abramo di uno che aveva sperato contro ogni speranza;  se avessero riflettuto avrebbero considerato che abitavano una terra frutto della fiducia di quelli che avevano deciso di fidarsi della promessa e che contavano su Dio, a partire da Mosè, fino ai profeti, fino a Geremia che mentre il suo paese era devastato dalla guerra, i suoi abitanti minacciati di esilio e Lui stesso in prigione investe nel futuro, comprò un campo, tanto era sicuro che Dio non avrebbe abbandonato il suo popolo. Possiamo dire che sia i profeti che Geremia che Gesù erano diversi da noi e superiori a noi.

    Certo se l’oggi che Gesù pronuncia nella sinagoga lo sentiamo pronunciato solo da Lui, è così. Certo, noi non abbiamo la fede e il coraggio per dire le cose che lui dice e liberarle dalla genericità, ma Lui ci ha chiesto di dare concretezza alle parole, ha fondato la Chiesa perché la speranza divenisse concreta.

    C’è una scuola nella quale impariamo a sperare, nella quale ascoltiamo parole di speranza e impariamo a guarire, nella quale impariamo a stare fermi anche sotto la croce a cercare con gli occhi e con il cuore l’alba del giorno dopo per ricominciare. Questa scuola è la Chiesa. In questa scuola maestri sono i nostri fratelli. Lo sono, lo siamo gli uni per gli altri.

    Immaginandoci al centro della sinagoga, rappresentati da Cristo, diciamo che noi siamo nel mondo oggi per essere promessa realizzata, luce presente, liberazione in atto. Come? Vivendo con serietà la nostra vocazione a essere Chiesa e cioè comunità.

    Cito le parole che sono state scritte per descrivere la forza e la necessità della comunità: Dio ha messo la concretezza della parola in bocca a uomini, per consentire che essa venga trasmessa fra gli uomini. Se un uomo ne viene colpito, la ridice all’altro. “Dio ha voluto che cerchiamo e troviamo la sua parola viva nella testimonianza del fratello, in bocca a uomini. per questo il cristiano ha bisogno degli altri cristiani che dicano a lui la parola di Dio, ne ha bisogno ogni volta che si trova incerto e scoraggiato; da solo infatti non può cavarsela, senza ingannare se stesso sulla verità. Ha bisogno del fratello che gli porti e gli annunci la parola divina di salvezza” (D. Bonhoeffer).

    In questo oggi, segnato da forme aggressive di individualismo, di solitudini e di abbandoni, essere comunità è il modo concreto per favorire la concretezza della speranza. Noi questo dobbiamo desiderare di fare, dobbiamo impegnarci a fare.

    In questa comunità carissimi sacerdoti noi non siamo solo degli incaricati o degli animatori, ma abbiamo ricevuto il dono di celebrare l’Eucarestia, cioè di permettere la massima realizzazione della comunione, di permettere che tutti i membri della comunità siano una cosa sola, di porre in essere la perfetta realizzazione della comunità. Lo facciamo consacrando il pane e il vino e dicendo mettendo in gioco prima di tutto, agendo in persona Christi, noi stessi: “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”, “per voi”. Lo facciamo favorendo che le nostre comunità siano limpidamente eucaristiche cioè luoghi dove si possa condividere, con l’odore della fraternità, di una umanità piena di calore e di colori. Dicendolo e vivendolo, noi siamo guide e costruttori di speranza.

    In questo tempo pieno di individualità, il sacerdote sia nella celebrazione che con la vita dice, anche se a volte con fatica, è “per voi”… è “per voi”. Non rassegnati a dire questo, ma contenti di farlo, disposti, come Gesù a Emmaus, a scomparire perché le comunità che serviamo diventino capaci della loro vocazione. Così, facendo così, ricordandoci questo, noi costruiamo comunità, costruiamo speranza.

    Ringraziamo, infine, il Signore per l’ordinazione sacerdotale di don Silvio Filosa e quella diaconale di don Gianluigi Velletri, mentre il 17 maggio sarà ammesso fra i candidati agli ordini sacri Davide Leone. Durante questa celebrazione preghiamo per padre Luigi Donati, passionista e parroco di Pastena, che il 13 dicembre 2024 è passato da questo mondo al Padre.

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