Solennità di Tutti i Santi

    Questa festa di Tutti i Santi è piena di luce e ci ricorda il senso della nostra vita di cristiani, ci restituisce la gioia di riscoprire la bellezza della nostra vita di cristiani. Viviamo, ci dice la lettura dell’Apocalisse (7,2-4.9-14), per far parte della moltitudine di quelli che sono segnati sulla fronte con il sigillo di Cristo. Quella moltitudine descritta come immensa non ha confini. Non solo confini dettati dalla geografia, ma quei confini che spesso sono anche più invalicabili e che non sono solo fuori da noi, ma spesso dentro di noi.

    Immaginiamo in questo momento che qualcuno ci parli e ci dica che siamo pellegrini verso la gloria. Immaginiamo di vedere le nostre vite, le nostre storie e raccontiamole a noi stessi così come le viviamo e giudichiamo. Probabilmente, gran parte del racconto sarebbe un lamento per come non vanno tante cose, per come vorremmo che le cose andassero diversamente. Se dovessimo misurare il respiro delle nostre vite probabilmente dovremmo dire che è un po’ corto.

    Questo è il vero confine che ci fa pensare che la gloria sia solo una parola e che la gioia possa essere solo di un momento e legata a qualche episodio fortunato. Siamo un po’ affaticati, forse un po’ troppo perché ci siamo persi la meta del viaggio che è quella di far parte di questa moltitudine immensa che nessuno può contare che riconosce che il Signore ci salva, mi salva. Che significa che mi salva? Significa che mi libera da tutti i lacci della morte.

    Un salmo molto bello dice che “il laccio del cacciatore si è spezzato e noi siamo scampati” (Sal 124,7). Il laccio del cacciatore è ogni forza, sentimento, passione che mi impediscono di vivere come vorrei: l’egoismo, il rancore, l’avidità, la mancanza di fiducia, la rinuncia davanti alle difficoltà, la mancanza di entusiasmo. Questo è il laccio del cacciatore dal quale il Signore mi ha salvato con la sua croce. Soprattutto la morte come disperazione, come prospettiva di nulla, quello è il nemico più velenoso che abbiamo. Anche da questo laccio, Cristo ci ha liberato.

    Allora desiderare di far parte di quella moltitudine e camminare nella vita per raggiungerla, significa concretamente agire perché la libertà che mi è stata donata possa realizzarsi ogni giorno. Questo è il cammino della santità, essere ogni giorno di più una persona libera. I santi, quelli che riconosciamo come tali sono quei fratelli e sorelle che hanno avuto la libertà di credere anche quando le vicende della vita rendevano difficile farlo, magari hanno avuto un dolore, hanno subito un’ingiustizia e non se la sono presa con Dio, anzi si sono ancora di più legati a Lui. Hanno continuato a sperare quando intorno a loro tutti avevano perso la forza per farlo, speravano perché vedevano in ogni evento che Dio era fedele e presente.

    Un grande teologo, Dietrich Bonhoeffer, quando tutti si arrendevano al nazismo diceva fino alla morte che un cristiano è uno che resiste e non si lascia assorbire dal male. Anche oggi, per noi, resistere alla deriva di umanità nella quale ci troviamo sommersi, è sperare. Sperare è camminare verso la santità. Hanno continuato ad amare, cioè a non ripagare il male con il male, a cercare sempre il bene dell’altro e degli altri, a essere disposti alla sofferenza che spesso l’amore comporta.

    Queste cose che diciamo ci rendiamo conto che non sono facili da vivere, perché il laccio dell’orgoglio, della debolezza e della fragilità cerca di tenerci ancorati a terra. Ecco la festa di oggi, la festa di quelli che hanno compreso che il laccio si era spezzato e che lo aveva spezzato Cristo e loro sono volati. Non la festa di gente che non conosceva la vita o di esseri superiori che avevano doti inattese, ma fratelli e sorelle che quando c’è stato bisogno sono stati liberi di vivere secondo le ali del vangelo. A loro ci affidiamo, alla loro preghiera, al loro esempio, pensando che molti di loro hanno condiviso la loro vita con noi e che ora fanno il tifo per la nostra vita, ci incoraggiano e pregano per noi che ci affidiamo alla loro preghiera perché continuino in cielo a esserci vicini.

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