Presentazione di Maria – Festa della Mater Salvatoris

    L'omelia pronunciata dall‘Arcivescovo nella festa della Mater Salvatoris presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni

    Un po’ strano che nel giorno in cui festeggiamo Maria, leggiamo un brano del Vangelo (Mt 12,46-50) che sembra suonare come un rimprovero a Maria che, quasi, viene rimessa al posto suo da Gesù.

    Forse questo modo di leggere il brano evangelico è un po’ parziale. Il racconto mette in scena gruppi di persone e luoghi che fino a questo momento non c’erano.

    Il primo gruppo è appunto quello della madre e dei fratelli di Gesù che stanno fuori dal luogo dove stava Gesù e che appare per la prima volta, cercano di parlare a Gesù. Marco dice che erano li per toglierlo dai guai perché si stava diffondendo la voce che era pazzo. Qui non si dice, si dice solo di un desiderio di incontro. Questa presenza crea un clima di attesa, qualcuno lo riferisce a Gesù, poi Gesù riprende l’informazione e dice una cosa diversa, che non leggerei come una presa di distanza o un rimprovero, ma approfitta di questa presenza per chiedere… e sta parlando per noi, per la Chiesa: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mt 12,48).

    E qui entra in scena il gruppo dei discepoli che fino a questo momento erano sullo sfondo e ora Lui mette al centro tendendo la mano verso di loro. Questa mano che si tende non è solo una mano che indica, ma anche il segno di un coinvolgimento, un segno di protezione. Altre volte Gesù nel Vangelo tende la mano e lo fa per guarire, risollevare, proteggere. E dice questa è la mia famiglia, i miei discepoli sono la mia famiglia, quelli che fanno la volontà del Padre mio sono la mia famiglia, sono madre, fratello e sorella. Quelli che condividono la mia strada sono la mia famiglia. Dicendo chiunque fa la volontà del Padre mio è mio fratello, sorella e madre, dice che anche noi facciamo parte di questa famiglia e ne fa parte ogni uomo giusto. Una famiglia grande che non sopporta limiti, nemmeno quelli che possono essere quelli naturali come l’aver generato o far parte della stessa tribù. Non un limite, ma frontiere che si allargano all’infinito e per l’infinito.

    La Chiesa, che è al centro delle preoccupazioni di Matteo, si differenzia dal popolo di Israele non perché mette altre regole e altre frontiere, ma è diversa perché chiunque fa quello che può per cercare la volontà di Dio, per essere giusto e indurre altri alla giustizia, chiunque anche senza saperlo contribuisce al disegno della creazione, è familiare di Gesù.

    In questo tempo di violenza questa famiglia si estende a tutti gli operatori di pace, a tutti quelli che vivono le beatitudini, a quelli che cercano la giustizia, a noi che proviamo a vivere l’obbedienza alla Parola del Vangelo.

    Penso che, mentre contempliamo Maria e la veneriamo, dobbiamo ricordare che Lei è la nostra sorella che ha detto: “Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Lo ha detto non con una rassegnata obbedienza, ma con entusiasmo. Pure tu puoi, pure noi possiamo diventare madre, fratelli e sorelle di Gesù; pure noi possiamo fare esperienza della mano di Gesù che ci indica e ci solleva, ci guarisce, ci aiuta e ci chiama fratelli. È questo il fondamento della gioia nella quale esplode Maria nel canto del Magnificat, la gioia di chi scopre che può essere chiamata beata perché Dio rovescia le relazioni così che chiunque e non solo quelli che sono nati in un luogo, in una cultura, in una religione, ma chiunque può fare parte della famiglia dei figli di Dio.

    condividi su