Pasqua di risurrezione — 20 aprile 2025

    La pagina del Vangelo (Gv 20,1-9) ci immerge nei colori della notte che finisce per dare spazio all’alba. Quel buio di cui si parla è la notte del mondo, dominata dal sepolcro che ha la pretesa di sigillare la storia di Gesù in modo che essa non abbia futuro. Era quello il disegno di quelli che avevano progettato la sua eliminazione, seppellire con Lui tutte le sue parole e tutte le speranze che queste parole facevano nascere nel cuore delle persone. Sapevano molto bene che una persona che spera è un pericolo per chi vuole dominare gli altri considerandoli tutt’altro che fratelli.

    Anche nei nostri tempi la speranza è l’ostacolo da abbattere e anche oggi si cerca di seppellirla. Cerchi la pace? Sei un illuso che non ha il senso della realtà!  Un popolo sta annientando un altro popolo? Che ci vuoi fare!

    Annientare la speranza significa spegnere la fantasia che fa cercare strade diverse e nuove. Chi spera non si lascia convincere, non si lascia abbattere, non si arrende. Chi spera, resiste. Questo è vero non solo per le grandi questioni, ma anche per la nostra vita. Solo una persona che spera cerca di incontrare gli altri, cerca di costruire relazioni, scommette sul futuro e comprende che il suo futuro dipende dal futuro di tutti e si impegna a costruire il futuro di tutti. Chi spera smuove la pietra che i soldati di allora e i potenti di oggi continuano a mettere davanti al sepolcro.

    Noi siamo tutti presenti in Maria di Magdala che cammina nel buio e non si rende conto dell’alba e che interpreta con ragionamenti bui la pietra tolta dal sepolcro e l’assenza del corpo del Maestro: «Lo hanno portato via». Non contenti di profanare il suo corpo condannandolo a morte, ora lo hanno profanato anche da morto. Non c’è spazio per altre interpretazioni. Lo sanno bene anche i sacerdoti del tempio che cercano di far passare questo racconto: mentre i soldati messi a guardia del sepolcro dormivano, hanno rubato il corpo di Gesù.

    Anche Pietro e Giovanni vanno a controllare in che modo sia stato perpetrato questo ultimo sfregio. Quello che vedono sembra poco: i teli posati lì e il sudario non ammucchiato insieme ai teli, ma da un’altra parte del sepolcro, piegato. Non vedono, però i segni di una effrazione con precipitosa fuga, ma segni di cura, di attenzione, di ordine. Non vedono i segni del caos, ma ogni cosa è al suo posto. È questo il segno della Resurrezione, la novità che nasce dal sepolcro, la vita torna al suo posto e la speranza riprende la sua corsa. Una corsa da questo momento che non potrà essere mai più interrotta anche se molti tratti della storia dell’uomo saranno sempre somiglianti al buio e ci saranno sempre quelli che vorranno interrompere la corsa della vita.

    Paolo scrivendo ai Corinzi, cittadini di una città fortemente corrotta, dice: fratelli, dovete ricordarvi sempre che Cristo risorto è come il “lievito nuovo” e voi dovete farvi lievitare da Lui (cfr. 1Cor 5,6-8). Lievitare di vita. E anche questo mondo nel quale noi viviamo trova nei discepoli del risorto il lievito. Per cui, anche se il caos sembra sempre sulla soglia, è tenuto fuori dai testimoni della Risurrezione, da quelli che, come Pietro e Giovanni, capiscono che c’è una novità in quel sepolcro. Si rendono conto che è vuoto e chi lo ha riempito e cerca sempre di riempirlo, dal momento della Risurrezione in poi resta sempre con niente in mano.

    È il niente in mano che ci fa desiderare la Risurrezione. È la consapevolezza che i ragionamenti che ci sembrano intelligentissimi sono vuoti che ce la fa desiderare. È questa follia della quale ci rendiamo conto governa quelli che devono agire con sapienza per costruire il futuro che ci fa diventare gelosi di questo annuncio: «Cristo è risorto, è veramente risorto!»

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