Dona eis requiem, In onore delle vittime del Covid-19 – RIMANDATO

SI AVVISA CHE IL CONCERTO

PREVISTO PER IL 1° NOVEMBRE

E’ STATO RIMANDATO.

Pie Jesu Domine, dona eis requiem, sempiternam requiem (Gesù pietoso, o Signore, dona loro il riposo, il riposo eterno): questa preghiera dà il titolo all’evento che la Chiesa di Gaeta ha promosso per commemorare le vittime che il coronavirus ha mietuto anche nelle nostre terre e che avrà luogo domenica 1 novembre alle ore 17.30 presso la Chiesa di Santa Maria in Piazza di Fondi.

L’appuntamento è articolato in due parti: l’esecuzione del Requiem, op. 48, di Gabriel Fauré (1845-1924) e la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dall’Arcivescovo Luigi Vari in suffragio di quanti sono morti per il contagio del coronavirus. L’evento sarà introdotto dalle parole di accoglienza del Presule e dal saluto del dott. Beniamino Maschietto, Sindaco di Fondi, il cui territorio è stato “zona rossa” dal 19 marzo al 13 aprile scorso. Invitati i Sindaci dei 17 Comuni dell’Arcidiocesi di Gaeta per onorare la memoria di coloro che per il coronavirus hanno concluso il pellegrinaggio su questa terra talora senza la vicinanza dei propri cari e senza il conforto di una celebrazione funebre.

La commemorazione è affidata al Requiem di Fauré, che sarà diretto dal M° don Antonio Centola ed eseguito dai Soli e dal Coro dell’Arcidiocesi di Gaeta, con l’accompagnamento di un ensemble orchestrale che prevede un violino solo, quattro viole, due violoncelli, un contrabbasso, un’arpa, due corni, due trombe e l’organo.

 

Gabriel Fauré scrisse il Requiem tra il 1886 e il 1887, in memoria del padre, morto a Tolosa nel 1885. Il lavoro fu eseguito per la prima volta alla Madeleine (chiesa dove svolgeva l’incarico di maestro di cappella e di organista), nel 1888, dopo la morte anche della madre e rimase l’unica opera di vaste dimensioni e con l’intervento dell’orchestra scritta dal compositore francese per la chiesa. Il Requiem fu nuovamente eseguito alla Madeleine nel 1924, per i funerali dell’autore.

Fu la musa della consolazione a guidare in questa partitura Fauré, che si difendeva così dalle critiche di paganesimo: “Qualcuno l’ha chiamato [il Requiem] una ninna nanna della morte. Ma è così che sento la morte: come una lieta liberazione, un’aspirazione alla felicità dell’aldilà, piuttosto che, un trapasso doloroso… Non si deve forse, accettare la natura dell’artista?… Accompagno da una vita le esequie, all’organo… Ho voluto fare qualcosa di diverso”. Da qui la tenerezza dell’espressione, che si avvale, pur senza ostentazioni, di una sfumatura antica derivata dal canto gregoriano sia negli influssi modali che nei profili melodici, assumendo e neutralizzando la drammaticità di altre riflessioni musicali sulla morte di quel tempo, in un progetto di grazia talora malinconica talora estatica.

Il Requiem di Fauré, infatti, si distacca notevolmente dalle altre composizioni romantiche del genere: significativo il rifiuto a musicare il Dies iræ, del quale invece sia Berlioz sia Verdi avevano fatto il centro di un vero e proprio dramma religioso. Nel Requiem di Fauré prevale un sentimento di rassegnazione e di abbandono, a volte si potrebbe addirittura dire un desiderio di assenza e di silenzio. È stato rilevato che “Fauré ha centrato il suo Requiem sull’idea dell’eterno riposo. Il suo lavoro comincia e finisce con la parola requiem, che è d’altronde messa nel massimo rilievo ogni volta che ricorre nel testo. Sembra che Fauré abbia scelto i brani della liturgia da musicare con il proposito di sottolineare quest’idea, visto che non solo cinque dei sette numeri contengono la parola requiem, ma che in uno di essi (il Pie Jesu) la parola sempiternam è ad essa aggiunta senza l’appoggio della liturgia”.

La raffinatezza delle tinte, la sobrietà del canto, l’eleganza dell’esposizione, la discrezione del porgere non nascondono la solitudine amara di chi ha preso coscienza della sconsolata impotenza dell’uomo e ne esprime una dolente, equilibrata accettazione: sentimenti, questi, che accomunano anche tutti noi in questo tempo di pandemia.