#FIRENZE2015 – Il diario

A cura dell'Ufficio Comunicazioni sociali di Gaeta

12 e 13 Novembre
 
Ultimi due giorni degli “Stati Generali della Chiesa Italiana” dove vescovi, cardinali, sacerdoti, monaci, religiose, rappresentanti di associazioni, movimenti ed uffici, laici e tutte le esperienze sono state presenti, si sono mischiate e ascoltate. 
 
Si gira per la Fortezza da Basso riconoscendo volti “noti” spesso visti in tv, personaggi impegnati nella società civile, la parte buona e la parte “cattiva” si percepisce uno spaccato sociale della Chiesa in questi giorni chiamata a riunirsi attorno ad un tavolo, a raccontarsi e confrontarsi.
 
Rimane lo scetticismo de “a cosa serve”, de “troppo chiacchiere”, de “non cambierà niente”, “sempre le stesse cose astratte che non portano a nulla”. Dopo cinque giorni, molte relazioni e momenti di riflessioni lo scetticismo rimane. Cosa realmente cambierà dopo il documento sintesi di Firenze 2015? Cosa è cambiato dopo Verona 2006? Probabilmente niente, nulla di nuovo verrà applicato e tutti torneremo nelle nostre comunità come se non fosse successo niente.
 
Rimane, però, una ricchezza, quella vera di questo Convegno Ecclesiale 2015: il sedersi attorno ad un tavolo e dirsi come si sta, capire dove siamo, come siamo e quello che facciamo al di là della nostra città e della nostra diocesi, capire lo stato di salute di questo personaggio complicato chiamato “Chiesa”. 

11 NOVEMBRE
 
C'è una suora che presta servizio in un carcere. Da Bergamo ha accettato di essere trasferita a Scampia in una comunità di cinque sorelle ed entrare tra le celle di Secondigliano. Crede nella conoscenza del territorio, nell'uscire come l'accorgersi dell'esistenza degli ultimi. 
 
C'è un sacerdote dallo spiccato slang milanese, direttore di una fondazione che si occupa di collegi, docente di economia etica, ama gli schemi, il metodo, l'analisi e la verifica. Crede nell'uscire come interpretazione dei dati della società civile dietro cui si nascondono volti, storie, fragilità da aiutare. 
 
C'è un vescovo, malato da qualche anno di tumore ma “sta bene ed è sereno”, conosce tutte le statistiche, è accanto alle famiglie separate, a genitori sconvolti dalla perdita di un figlio, si chiede cosa c'è dietro il mal di vivere. Per lui uscire vuol dire starci. 
 
C'è una seconda suora che presta servizio nella periferia della città tra gli immigrati e gli “sbarcati”, senza parlare di fede ma solo di vita e di speranza. Per lei uscire è guardare e sorridere. 
 
C'è una terza religiosa, direttrice della Caritas della sua diocesi, dalla grande carica e determinazione. Ora tra le mille cose alle prese con una casa famiglia ed un battesimo. Crede nella relazione e nell'inclusione. Per lei uscire è rendere il povero non il fruitore di un servizio ma parte della Chiesa. 
 
Ci sono due laici che si interrogano sul fare rete e sulla credibilità. Per loro uscire è mettersi in gioco. 
 
Seduti attorno ad un tavolo discutono su come uscire, su come uscire insieme. Questa è l'altra metà della Chiesa. Da qui parte il nuovo umanesimo.

9-10 NOVEMBRE

“Guarda questi preti che mangiano alle nostre spalle!”, così la gente apostrofa i sacerdoti alla fermata dell’autobus fuori la stazione di Santa Maria Novella al nostro arrivo nella magica Firenze, scelta come inizio del “nuovo umanesimo”. Lei che ha ogni strada, ogni palazzo, ogni chiesa, quasi ogni mattone che ricorda l’arte e l’ingegno dell’umanità che fu.
 
“Papa Francesco, Papa Francesco!”, Firenze è in delirio per l’arrivo del Santo Padre. Migliaia di persone in strada dal sorgere del sole, una città che splende, organizzata nei minimi dettagli per l’occasione.
 
“Ma che sono venuti a fare? Tutte chiacchiere!”, commenta qualcuno davanti ai pass appesi al collo degli oltre 2000 delegati al convegno che girano per la città.
 
“Bergoglio il nostro orgoglio”: così recita uno striscione appeso nello stadio gremito di bambini, giovani ed adulti provenienti dalla diocesi di Firenze e da tutta la Toscana per assistere alla celebrazione presieduta dal Pontefice. Un trionfo di colori, uno spettacolo di speranza, un tuffo al cuore.
 
La stessa gente che aspetta alla fermata del bus è la stessa gente urlante dietro le transenne o seduta nello stadio. La stessa umanità in cerca di una Chiesa credibile che si sporca perché esce e non si rinchiude nel conservatorismo.
 
Diversi nelle esperienze e nelle età, sacerdoti e laici, siamo venuti qui con il nostro Arcivescovo alla ricerca e con il desiderio della credibilità di una nuova Chiesa tra la gente e per la gente, carichi delle nostre esperienze e delle nostre domande: l’ascolto di Carlo e Concetta, la tenerezza di Don Francesco, l’accoglienza di Don Carlo, l’impegno di Don Mariano, l’attenzione di Maurizio.
 
Con i piedi stanchi ed il cuore fiducioso terminano le prime due giornate di questo V convegno ecclesiale nazionale che non prosciuga i mari o sgretola le montagne ma costruisce ponti.