Messa del Crisma 2020, Omelia e foto

Messa del Crisma 2020

Chiesa di San Francesco d’Assisi, Gaeta

Omelia di Mons. Luigi Vari, Arcivescovo di Gaeta

Giovedì 28 maggio 2020

Grazia e pace a voi da Gesù Cristo, il testimone fedele. Questo titolo emerge questa mattina dalla lettura dell’Apocalisse come capace di sintetizzare più di altri la caratteristica di Cristo sacerdote e di quanti per il suo sangue sono costituiti sacerdoti per Dio.

La fedeltà sappiamo tutti non si dichiara, ma si racconta.

Quest’anno ci sta dando l’occasione di verificare la nostra vita di sacerdoti e di rispondere alla domanda se abbiamo storie di fedeltà da raccontare, come sacerdoti e soprattutto come battezzati.

Per molti di noi questi mesi rappresentano l’occasione per scoprire quanto sia profonda la nostra fedeltà agli uomini, poiché ci siamo trovati rimessi al posto nostro nel desiderio di dare una mano ai nostri fratelli, con la preoccupazione di rimetterli in piedi, inginocchiati ai loro piedi. Stare in ginocchio ai piedi di qualcuno significa stare da un’altra parte rispetto a quella che normalmente scelgono coloro che hanno qualche potere, generalmente seduti a tavola e non in giro per la sala a lavare i piedi. Quello, però, è il posto nostro.

Questo non giustifica, però comportamenti indefinibili che anche qualcuno di noi ha dovuto subire, poliziotti a spiare dai vetri delle chiese e parole in libertà come quelle pronunciate da chi per il ruolo istituzionale doveva informarsi prima di parlare, mi riferisco all’episodio di Penitro. Nemmeno giustifica, però il desiderio di lasciare in fretta questo posto per rimettersi a tavola. Restiamo fedeli a questo posto che ci siamo scelti, in cui gli unici occhi che cerchi sono quelli di tuo fratello. Tutti avete fatto tanto per stare al posto di Cristo in ginocchio e vi siete conquistati la prima pagina nel cuore di molti fratelli.

Mentre siamo in ginocchio ci ricordiamo che in ginocchio si lavano i piedi dell’altro, ma si prega anche per lui e si prega per noi. Quello che sta accadendo è uno choc: noi i ricchi, gli avanzati siamo stati i più colpiti da un virus che non viaggiava sui barconi, ma in business class. Noi che avevamo confinato la fede nel territorio dei sentimenti e che pensavamo che l’uomo fosse sufficiente a sé stesso, ci siamo resi conto che misurare la vita non è lo stesso che viverla e che anche la scienza è un’attività dell’uomo che ha bisogno di tempo, di pazienza, di passione, di sentimenti e di fede. Ce lo hanno testimoniato quelli che non si sono risparmiati e che chiedevano il nostro consiglio e la nostra preghiera non per sapere che medicina dare, ma per essere sostenuti e non perdersi.

E abbiamo ricominciato a pregare e a far pregare, abbiamo deciso di stare in mezzo alla desolazione simboleggiata dalla piazza vuota nella quale il Papa ha pregato, segno delle nostre chiese vuote e di un mondo che senza Cristo è una barca alla deriva.

Abbiamo scelto di non abbandonarci alla deriva, e quindi di consolare, di confortare, di fare un po’ di bene. L’esperienza della desolazione della morte, vista nelle scene dei camion pieni di bare, ma vissuta nel ministero di accompagnare anche noi tanti fratelli e sorelle in punta di piedi, in silenzio, nemmeno le parole che la liturgia suggerisce quando non abbiamo più parole. Non abbiamo forse riscoperto di quanto sia importante il morire non da soli, non senza una parola, una preghiera, una parola?

Vorrei che ci dicessimo: mai più. Per quanto dipende da noi: mai più. Abbiamo vissuto un lungo sabato santo, spero per me di averlo vissuto come le donne indaffarate a piangere a preparare profumi per onorare il corpo di Gesù, impegnate a contrastare l’odore cattivo della morte e, senza immaginarlo, a preparare la resurrezione. I vangeli parlano tanto di queste donne, ne parlano come di premesse necessarie alla resurrezione.

Carissimi confratelli, vorrei concludere riprendendo una citazione di Albert Camus che nel romanzo La peste, descrivendo la parabola di un sacerdote che all’inizio si pone come un moralista implacabile di fronte alla tragedia, e ne abbiamo visto pure noi qualcuno, poi assistendo a tanto dolore innocente, comincia a dubitare e decide di accompagnare con voce rotta, con qualche esitazione, il cammino dei suoi parrocchiani. L’autore scrive: “Bisogna soltanto cominciare a camminare in avanti, nelle tenebre, un po’ alla cieca e tentare di fare il bene. Per il resto bisogna restare e accettare di rimettersi a Dio”.

Testimoni fedeli in Cristo il testimone fedele, significa restare e fare del bene e affidarsi a Dio. Infine questa Messa è epifania della Chiesa, di quella che sa mettersi in ginocchio, consapevole che in un giorno e in una notte tutto può cambiare, preoccupata a preparare aurore di resurrezione.

Anche se il tempo non consente festeggiamenti, non passano inosservati alcuni importanti anniversari: il 60° anniversario di sacerdozio di don Gianni Liberace, il 50° anniversario di sacerdozio di don Giuseppe Sparagna, il 25° anniversario di sacerdozio di don Adriano di Gesù e di don Guerino Piccione. I festeggiamenti non mancheranno, la preghiera di ringraziamento e di lode già c’è.

Ci hanno preceduto in cielo don Giovanni Nardone, il diacono Raffaele Palmaccio; un ricordo anche per don Gianni Sandalo del Pime che ha servito brevemente, ma intensamente nella Parrocchia di San Giacomo Apostolo in Gaeta. I tanti sacerdoti vittima del corona virus, per loro anche vogliamo pregare, ringraziandoli per la loro testimonianza e il loro esempio.